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Una panoramica della situazione dei sordi italiani in generale e della lingua dei segni italiana in particolare

Versione aggiornata in seguito alle rettifiche del Presidente Nazionale ANIMU, Dino Giglioli
Article publié le mercoledì 7 maggio 2008.


Intervento di Carlo Eugeni, Università di Napoli Federico II

In questo breve excursus si farà il punto sulla situazione dei sordi italiani in generale e della lingua dei segni italiana in particolare. Per prima cosa sarà riportata la suddivisione medica che fa la legislazione italiana della sordità. Successivamente, sarà brevemente analizzata la comunicazione dei sordi prelinguali italiani, giuridicamente definiti “sordomuti” fino al 2006 (legge 95/2006). Quindi si passerà al capitolo Accessibilità, si riporterà lo stato dell’arte della Lingua dei Segni Italiana nei quattro settori di maggiore interesse: istruzione, comunicazione, televisione e università. Chiuderà lo stato di avanzamento del riconoscimento della LIS come disciplina di studio.

In Italia, la perdita di udito è suddivisa in quattro gradi fasce, secondo la classificazione del Decreto Ministeriale 5.2.1992:
-  Lieve, tra i 20 e 40 decibel di perdita di udito;
-  Media, tra i 40 e i 70 decibel.

Fino a questo stadio, la legislazione italiana riconosce al disabile ipoacusico un grado più o meno elevato di invalidità civile, ma non sarà considerato come sordo (cfr. legge 381/70 pag. 27);

-  Grave, tra i 70 e i 90 decibel.

Da 75 decibel in su, la legislazione italiana riconosce lo statuto di “sordo” a coloro che hanno perso l’udito prima dei 12 anni, per un’ipoacusia pari o superiore a 60 dB all’orecchio migliore.

-  Profonda, con soglia uguale o superiore ai 90 decibel.

Sono riconosciuti tre gruppi:

-  gruppo: sordità per le frequenze tra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 db;
-  gruppo: sordità per le frequenze tra i 125 e i 2000 Hertz all’intensità di 90 db;
-  gruppo: sordità per le frequenze tra i 125 e i 1000 Hertz all’intensità di 90 db.

Quanto ai dati demografici, in Italia ci sono 5 milioni di audiolesi, di cui 70.000 sordomuti o sordi prelinguali come si preferisce chiamarli.

Malgrado la carenza di dati reali, si può stimare che solo il 10 % di questo sordi ha genitori segnanti, mentre ben il 60% si può definire madrelingua LIS.

Se guardiamo ai dati riguardanti le persone al di sotto dei 36 anni, però, ci rendiamo conto che i dati sono totalmente diversi. Solo il 10 % (si tratta di persone nate principalmente in una famiglia di sordi) si esprime in LIS come lingua madre e in italiano orale come seconda lingua e ben il 90% (nati in famiglie di udenti) parla l’italiano orale. C’è da segnalare, comunque, che malgrado il bilinguismo sia ancora un’utopia, molti giovani sono in grado di esprimersi in maniera corretta e comprensibile in entrambe le modalità. La ragione sta nella legislazione in materia di istruzione.

Se è vero che sempre più giovani sono attratti dalla LIS e quindi la imparano in età adulta per comunicare con amici sordi, la legislazione in materia di istruzione ha svolto un ruolo cruciale in questa suddivisione. Fino al 1880, l’istruzione dei bambini sordi avveniva in istituti speciali dove la LIS non solo non era (ancora) bandita, ma era anche utilizzata nella formazione degli allievi.

Nel 1880, però, il congresso di Milano “considerando che l’uso simultaneo della parola e dei gesti ha lo svantaggio di nuocere alla parola, alla lettura sulle labbra e alla precisione delle idee, dichiara che il metodo orale deve essere preferito”. Da allora, sempre negli istituti speciali, l’italiano fu l’unica lingua ufficiale di insegnamento, ma la LIS continuò a essere utilizzata più o meno liberamente al di fuori delle attività scolastiche tra sordi. Nel 1976 e nel 1977 due leggi, la legge n. 360 del 1976 e n. 517 del 1977, sanciscono che la persona handicappata deve essere integrata nelle scuole e nelle università pubbliche. In particolare, si stabilisce che gli enti locali e le unità sanitarie locali devono assegnare personale docente specializzato e operatori e assistenti specializzati. Sempre nel 1977 il Decreto del Presidente n. 616 stabilisce l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione personale.

Solo nel 1992 la Legge n. 104 introduce la figura dell’assistente alla comunicazione per i disabili sensoriali (essenzialmente ciechi e sordi). Pur essendo altra cosa rispetto agli interpreti, per ruolo, è importante segnalare che proprio in virtù della somiglianza della competenze tra l’assistente alla comunicazione e gli interpreti LIS, questi ultimi, previa opportuna integrazione formativa, svolgono frequentemente il ruolo di assistente alla comunicazione.

Pochi giorni fa, infine, il Governo ha emesso un Disegno di Legge che recepisce la direttiva dell’UE 1988 la risoluzione UE del 1998 e la raccomandazione dell’ONU del marzo 2007 sancendo la Rimozione delle barriere, la promozione del bilinguismo e il riconoscimento della LIS.

Quanto alla figura dell’assistente alla comunicazione, appena menzionata, si tratta di un vero e proprio interprete di simultanea (prerequisito questo essenziale per svolgere l’attività di assistente alla comunicazione) che però non opera in ambito di conferenza ma in ambito sociale (università, scuola dell’obbligo, sanità, tribunali, ecc.).

Stando alle indicazioni del maggiore ente nazionale in difesa dei diritti dei sordi (ENS), l’assistente alla comunicazione, se sordo, si dovrebbe chiamare educatore e dovrebbe conoscere benissimo la Lingua dei Segni italiana; aver frequentato un corso di formazione e avere diploma di maturità per il nido, la scuola materna e la scuola elementare; di laurea per le scuole fino alle superiori. Se udente, invece, non potrebbe chiamarsi educatore e dovrebbe essere figlio di sordo segnante (la sua competenza dovrebbe essere valutata mediante un esame) oppure aver frequentato un corso di Lingua dei segni di almeno 400 ore; aver frequentato un corso di formazione; frequentare regolarmente la comunità dei sordi e avere diploma di maturità per il nido, la scuola materna e la scuola elementare; di laurea fino alle superiori.

Malgrado quanto appena indicato, non esistono articoli di legge in materia.

Per interpretare all’università, un interprete LIS o aspirante tale, può lavorare solo se accreditato e quindi iscritto in una graduatoria ad hoc specificamente richiesta dall’università che ne fa richiesta e dalla quale attinge man mano. Nella sola regione Emilia-Romagna esistono elenchi provinciali di interpreti.

A tal proposito, all’università, indipendentemente dalla natura della sordità, viene offerto un servizio di accessibilità alle lezioni per un monte ore limitato (solitamente 150 ore annuali) che consiste, nella stragrande maggioranza dei casi, in uno studente che lavora part-time per l’università e che prende appunti per lo studente sordo durante le lezioni di suo interesse (92% dei casi); in altri rari casi viene offerto un servizio di sbobinatura della lezione (1,5%) previa registrazione audio e tramite o meno software di riconoscimento del parlato. Per quanto riguarda l’accessibilità in diretta abbiamo casi di sottotitolazione con stenotipia (2,5%) o di interpretazione in LIS (4%), ma solo per poche ore l’anno.

Per quanto riguarda la televisione, la cosiddetta Legge Stanca del 2005 e il contratto nazionale tra la RAI e il Governo, da cui dipende, impongono un aumento graduale della sottotitolazione delle trasmissioni fino a raggiungere il 100% nel 2009. Allo stato attuale, solo il 15 % dei programmi della RAI (25% in estate quando vecchi telefilm già sottotitolati in passato vengono ritrasmessi) e l’8 % dei programmi Mediaset (14% in estate) sono sottotitolati. Solo due TG al giorno e tutti i meteo della Mediaset sono sottotitolati in diretta. L’interpretazione in LIS viene fornita solo per 1 ora settimanale dai TG di RAI e Mediaset.

Quanti all’insegnamento della LIS, infine, i corsi offerti dall’ENS esso si suddividono in tre livelli, alla fine dei quali si può scegliere se frequentare corsi per assistente alla comunicazione o se intraprendere la carriera da interprete libero professionista.

L’insegnamento può essere dispensato dall’Ente Nazionale Sordi (l’anno scorso solo 10 corsi di 3° livello sono stati attivati in tutta Italia), dagli Enti locali (corsi per disoccupati), da altri enti a ciò deputati o dalle università, per lo più sotto forma di corsi di alta formazione o master. Solo in un caso (SSLMIT Trieste) abbiamo la presenza di corsi di laurea curriculari in Lingua dei Segni.

Quanto ai centri di ricerca in materia di lingua dei segni, la LIS è poco affrontata come disciplina universitaria, ma notevole e degno di essere menzionato è il lavoro svolto dal CNR in collaborazione con l’Istituto dei Sordi di Roma.


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